Commento dell’opera del Critico e Storico dell’arte Marco Dolfin
Esteriorizzare attraverso colori e segni, siano essi istintivi o guidati dalla meditazione, la propria interiorità, trasmettere sensazioni ed emozioni che riescano a toccare la parte più preziosa di noi stessi: l’anima, il cuore.
E’ questo che Antonella Carraro cerca nella pittura.
L’uso del linguaggio grafico fa parte del bagaglio di esperienze dell’essere umano, serve a costruire le nostre conoscenze. Già nello scarabocchio, che altro non è che una macchia, un insieme di segni apparentemente senza senso, il bambino rappresenta ciò che vede, la propria realtà, ed esprime a suo modo uno stato d’animo, un sentimento che cresce e si perfeziona con l’aggiunta del colore. Il segno è dunque qualcosa di spontaneo, di istintivo, ma che nasce da noi stessi, è espressione della nostra personalità profonda, immagine emotiva.
L’artista usa il segno per relazionarsi con l’osservatore, per comunicare le proprie impressioni psichiche e aprire la propria mente. E vi aggiunge il colore, per dare un significato più preciso a quel segno, renderlo simbolicamente una sensazione che abbia influenza sul nostro agire.
Nata a Vedelago (TV) nel 1959, la passione per l’Arte si manifesta in Antonella Carraro fin da bambina.
Da autodidatta inizia il suo percorso artistico cimentandosi nel figurativo prima e nell’informale poi, sviluppando varie tecniche dall’acquarello all’olio, agli smalti o i pastelli, il carboncino, ceramica, la china e la cera. Per la ricerca e la sperimentazione ha sicuramente subito l’influenza di varie correnti artistiche, prima fra tutte segnifica, ma “osservando i miei dipinti – io riconosco solo me stessa”.
Dal 2005 presente in tutto il territorio italiano ed europeo con vari riconoscimenti.