Commento dell’opera del Critico e Storico dell’arte Marco Dolfin
Flavio nasce a Napoli nel 1964, terzo di sei figli. Fin dalla sua infanzia manifesta un forte desiderio di abbracciare la vita in tutte le sue sfaccettature.
All’età di soli dieci anni, però, si trova a dover vivere il dramma più traumatico e sconvolgente che un bambino possa sopportare: la morte improvvisa della mamma.
Flavio inizia così a convivere con una rabbia ed un dolore tanto ovattati quanto rumorosi. Cresce all’interno di una famiglia dove si respira e si vive l’arte della pittura, con un fratello ed una sorella iscritti all’istituto d’arte e all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ma la famiglia è numerosa e non c’è la possibilità economica di iscrivere anche Flavio, nonostante la sua forte passione. Così lui inizia a “cibarsi” degli insegnamenti del fratello, a “rubare” con gli occhi le sue nozioni ed inizia a metterle in pratica sin dai primi anni della sua adolescenza.
Termina la scuola dell’obbligo e si iscrive al Conservatorio, cercando nella musica di colmare un vuoto che crea dentro di lui un solco sempre più profondo. Va a vivere in Germania, in Spagna, a Londra e successivamente negli Stati Uniti.
Lavora e mette da parte i soldi per potersi pagare gli studi al Conservatorio.
Sfoga la sua rabbia ed il suo dolore nella musica e nella sua continua passione per la pittura e la scultura.
Si ritaglia il proprio angolo di pace e di sfogo dando vita a tele bianche ed anonime, a cumuli di argilla vergine che inizia a prendere le forme più svariate attraverso le sue mani. Abbraccia quel pennello, intingendolo in una tavolozza di colori, afferra quella terra plasmandola con pazienza e delicatezza, quasi a colmare un vuoto che ha accompagnato la sua sete di rinascita.
E Flavio scopre proprio nella pittura, nella scultura, nella ceramica che la vita è un gioco continuo di luci ed ombre, di chiaro e scuro, e che il colore nasce dalla consapevolezza che nulla potrà eliminare un dolore tanto profondo, ma potrà farlo uscire dandogli nuove forme.